ALIGI SASSU E LA CERAMICA
Gian
Carlo Bojani
Mentre
Aligi Sassu spirava, mi trovavo in Sardegna a Thiesi paese
d'origine della sua famiglia. Nonostante che l'artista si sia
proiettato nella sua formazione all'arte verso la "Scuola
Romana" -in retrospettiva credo che lo si possa ben
cogliere- ma anche e specificamente nell'ambito milanese di
"Corrente", nello stesso suo lungo svolgimento e
conseguente affermazione in ambito nazionale e internazionale,
così come in una dimensione culturale non di provincia solo
apparentemente si può considerare la sua strada priva di un
significato ancestrale. A Thiesi, nei dintorni, nella Sardegna
attraversata ho sentito fortemente aleggiare il suo spirito.
Sentivo esaurirsi lì la sua presenza, nel ritorno ai Padri. È
vero, sapevo della gravità del suo stato di salute nel
soggiorno a Palma di Maiorca: ma proprio quel giorno, e in quel
luogo, avvertii forte che qualcosa stava succedendo e lo dissi a
chi mi accompagnava. […]
Le
scene del mito dipinte da Sassu anche su ceramica, comprese
quelle coi cavalli che si sbizzarriscono in lande deserte come
per l'alitare di qualche dio sconosciuto, misterioso le
immaginavo svolgersi in quei paesaggi anche rudi, negli
orizzonti talora sterminati di quei luoghi, in certi colori
talora accecanti, nei bagliori cromatici del cielo. […]
Sassu,
per me, ha proiettato la Sardegna in una visione mitica, in una
rappresentazione di quando i popoli vichianamente animavano
delle loro proiezioni fantastiche, delle loro passionalità, i
luoghi, le cose, le presenze...quel mare, quella vegetazione,
quelle vallate, quei rilievi montuosi.
Questa
prima antologica, postuma, delle opere in ceramica dell'artista,
non a caso strettamente legate nella quasi totalità al mito,
permetterà uno studio sulle capacità, sui talenti di Sassu
nell'aver saputo versare nella sperimentazione estetica
contemporanea, in un tempo come il XX secolo che ha visto un
singolare manifestarsi dell' arte ceramica non inferiore ad
altre più importanti manifestazioni della storia millenaria
dell'arte fittile, immagini antiche quanto l'uomo occidentale,
mediterraneo.
Potremmo
rilevare con Giorgio Vasari estendendolo ad Aligi Sassu per
fenomeno di analoga portata, quanto segue: «. ..la maestria
incredibile che egli mostrò nelle forme e lineamenti di
cavalli, i quali Lionardo meglio ch'altro maestro fece di
bravura di muscoli e di garbata bellezza». Perlomeno Sassu ha
dimostrato la non esauribilità interpretativa di un motivo
iconografico che ha sempre colpito l'immaginazione dell'uomo, di
un mito antico quanto l'uomo. Si pensi alla diversità dei
cavalli ben saldi e scenici, dipinti da Giorgio De Chirico, ad
esempio; o sempre in quegli anni ai cavalli e cavallini in
ceramica, per esempio di un Pietro Melandri, di un Guerrino
Tramonti o anche di un Giuseppe Ugonia tanto per frenarci in
ambito faentino, puledri preziosi ma ben saldi.
«[...] In
quel periodo, del resto, anche Picasso a Vallauris
[...] faceva le stesse prove ma sotto una forma differente,
perchè Picasso non fece altro che trasferire nella ceramica la
sua esperienza di pittore: i vasi di Picasso sono disegni, sono
bellissima pittura, ma difettano nella forma. Le sue ceramiche
sono certamente interessanti, rivelano la mano di un maestro, ma
non raggiungono la qualità di quelle fatte da noi ad Albisola.
I nostri pezzi, nel loro insieme, costituirono una novità
assoluta, dovuta allo spirito di equipe mio, di Fontana e
di Fabbri. Tendemmo alla libertà assoluta sia della forma che
del colore; mirammo a una interpretazione differente,
fantastica, della ceramica proprio come fatto liberatorio dopo
l'esperienza della guerra e le esperienze ancor precedenti [...]».
|